Quel che gli utenti vogliono (e le aziende no)

C'è una curiosa discrepanza tra quello che i consumatori Internet addicted  vorrebbero dalle aziende e quello che queste ultime sono disposte a dar loro. In molti casi sembra di assistere ad un dialogo tra sordi. 

Secondo una ricerca su consumatori italiani online di una fascia di età tra i 18 e i 54 anni, quasi l'80% di essi ritiene opportuna una presenza delle aziende nei social media, e una percentuale leggermente più alta ritiene che non facciano abbastanza: dovrebbero escogitare nuovi sistemi o mezzi per interagire con i propri clienti (Cohn & Wolfe, con il supporto tecnico di Lightspeed Research). Un desiderio che, a quanto pare, gran parte delle aziende sembra non condividere: in un buon 77% dei casi esaminati, i fondi per il web sono meno del 25% dell'investimento complessivo dedicato alle "spese di comunicazione e marketing". Per contro, gli utenti passano davanti allo schermo del computer più tempo che davanti a quello della televisione: sette ore al giorno contro cinque. E un terzo del tempo trascorso online viene passato nei social media. Facebook ovviamente è in testa alle preferenze, seguito da Twitter e YouTube. Le aziende, insomma, continuano a nutrire una grande diffidenza nei confronti della rete e dei suoi meccanismi, dettata, probabilmente, da una scarsa conoscenza dei medesimi. O dal timore, del tutto giustificato, che entrare in questa specie di grande circo abbia dei costi.

E' vero. Seguire i social media - o meglio: integrare i social media in una più ampia e coerente strategia di marketing e comunicazione - costa soprattutto tempo e competenze. Costa anche denaro (perché il tempo è denaro), qualora si decida di dedicare una o più risorse interne all'azienda a questa specifica attività (sarebbe la soluzione ottimale, in un calcolo costi/benefici; tuttavia, per qualche curioso motivo, nelle aziende italiane ciò non si verifica mai, o quasi).

Accade così che si perdano moltissime possibilità, prima tra tutte quella di entrare in dialogo diretto con i clienti finali. I quali, a dispetto di tutto, vogliono parlare con le aziende: il 64% degli intervistati ha dichiarato di interagire con i brand online almeno una volta alla settimana. Una delle opinioni più diffuse tra gli utenti sulla rete è che le aziende dovrebbero approfittare dei social media per sapere cosa la gente pensa di loro, e dei loro prodotti/servizi; viceversa, solo il 32% dei professionisti del marketing aziendale sono convinti che ciò sia utile ai loro clienti. L'impressione che si trae, leggendo queste statistiche, è che ancora una volta si proceda per associazione di idee; il web viene visto solo come un altro mezzo, al pari della televisione o dei giornali. Le regole e i comportamenti che si verificano in rete si presume non si discostino molto da quelli che già si conoscono e con cui si è abituati, da sempre, ad avere a che fare.

Il guaio è che non è così. Il comportamento dei consumatori sta cambiando radicalmente: se ci pensate, non assomiglia a nulla di quello che si è visto o vissuto fin qui. Indietro non si torna più. Nuove regole (o "non-regole"?), nuove abitudini, nuovi mezzi stanno avanzando e imponendosi ad una velocità inaspettata. Stiamo assistendo a evoluzioni (anche tecnologiche) degne della più fervida fantasia di uno scrittore di fantascienza. Un esempio? Se negli anni '70 qualcuno ci avesse detto che negli anni 2000 avremmo potuto scattare foto, registrare musiche o girare filmati con il telefono (per di più formato pacchetto di sigarette, o anche meno), l'avremmo preso per un matto visionario. Oggi queste azioni fanno parte del più normale, diffuso e condiviso costume quotidiano.

Finora i media tradizionali sono stati i canali ideali di ciò che le aziende vogliono dire; oggi, i social media sono i canali ideali di ciò che i consumatori vogliono sentire. E se le aziende non impareranno a instaurare un dialogo con questi ultimi, prima o poi si ritroveranno a parlare da sole.

Perchè il tempo dei monologhi è finito.