Il vino come prodotto e come servizio
/C’era una volta un mondo in cui per essere vincenti sul mercato del vino bastava farlo buono. Poi l’asticella si alzò, e bisognò impegnarsi a farlo buonissimo. Oggi la dicotomia principale non è tra chi sa fare il vino buono e chi no, perché la qualità del prodotto è un prerequisito sul quale quasi nessuno si sofferma più, ma:
- su chi lo sa fare (più) sostenibile
- su chi lo sa fare (più) naturale (qualunque cosa s’intenda con questo termine)
- su chi lo sa fare (più) artigianalmente
- su chi lo sa fare (più) territoriale, autentico, identitario
Eccetera. I plus immateriali si accumulano, e la sfida a comunicarli (meglio/di più) come elemento distintivo del proprio vino si fa ogni giorno più difficile e serrata.
E’ il vino visto principalmente e (per lo più) esclusivamente come prodotto: il prodotto di un territorio, di una denominazione, di una tradizione. A tanti consumatori, ai comunicatori (e ai critici), il vino come prodotto piace un sacco, perché è quello su cui si può disquisire senza stancarsi mai, ha sempre qualche nuova storia che si può raccontare: l’annata, le fatiche della campagna, la tecnica, l’uva dimenticata (e riscoperta), il bisnonno vignaiolo, lo zio enologo e il papà cantiniere.
Sull’altro fronte, quello del vino dei colossi della GDO, quelli che macinano numeri di produzione (ma soprattutto di vendita) a 8 zeri, del vino come prodotto quasi non si parla, se non nel senso di una categoria merceologica da collocare sugli scaffali. Perfino la (rara) pubblicità che ne fanno sui mass media non fa che ripetere cliché vecchi e polverosi, a dimostrazione che, in realtà, i primi a non credere a questa forma di comunicazione sono proprio loro, i committenti
Si parla però, e molto, di vino come servizio. Anzi, a pensarci bene, non si parla nemmeno di questo: si fa e basta. Certo, stiamo parlando di mercati diversi: wine lover e appassionati/esperti di vino i primi, indifferenziati (?) consumatori i secondi.
Eppure, non credo che a tante piccole aziende dispiacerebbe rosicchiare qualche frammento di quota di mercato ai colossi di cui sopra, conquistando qualcuno dei loro clienti. Il modo per farlo c’è, e non è nemmeno costoso. Richiede solo un piccolo cambio di prospettiva.
Richiede di smettere di cercare nel proprio vino (non importa se più o meno artigianale) elementi di autogratificazione (“l’importante è che l’etichetta, il sito web, la brochure… piacciano a me”) e di considerarlo non più solo come prodotto, ma anche come servizio. Dedicando agli aspetti e agli elementi di servizio la stessa cura, inventiva e dedizione finora dedicati solo al prodotto.
Perchè è il servizio che oggi fa la (vera) differenza sui mercati di tutto il mondo (incluso quello nazionale).
Com’è l’etichetta del vino? chiara, utile e interessante, o semplicemente verbosa, scontata e superflua? Posso comprare il vino in azienda? Posso ri-comprarlo senza difficoltà dal sito web? Se lo ordino, entro quando mi arriva? La bottiglia è leggera o pesante? quel formato/forma così carina/insolita sta comodamente anche nel frigo? ha il tappo a vite o il (solito) tappo in sughero? La prossima volta che farete una degustazione o un evento nella mia città, vi ricorderete di invitarmi? Il sito web è completo, facile da navigare e aggiornato? si legge bene sullo smartphone? Il produttore adotta qualche forma di customer service? E' possibile acquistare dal vostro sito web introvabili bottiglie particolari o di vecchie annate? Se vengo in cantina, me le fareste degustare, pagando?
Ogni accorgimento che rende l’esperienza con il vino più semplice/gratificante (e magari anche ripetibile) per il consumatore finale è un elemento di servizio. E ogni elemento di servizio autentico ed efficace avvicina il consumatore direttamente al produttore e ne incoraggia la fidelizzazione.
Una volta conquistato, al consumatore potrete tornare a raccontare quella storia che ci piace tanto: “c’era una volta, in una terra votata alla qualità, un appassionato vignaiolo…”